Cassonetti straripanti. Ratti e gabbiani che si cibano direttamente dai sacchi della spazzatura. Cinghiali, attirati dai gustosi rifiuti, che corrono sulle strade principali sotto gli sguardi allibiti degli automobilisti.

Non è esattamente questo il panorama che i visitatori si aspettano da Roma quando arrivano nella Città Eterna, ma l’infinita crisi della spazzatura della capitale italiana è diventata – inevitabilmente – uno dei suoi marchi di fabbrica.

Rischiando, guarda caso, di condannare sia i romani sia i visitatori ad un’eterna disperazione.

Se sei una delle oltre 20 milioni di persone che visitano Roma ogni anno, o pensi di esserlo, è probabile che ti sarai già imbattuto in un mucchio di rifiuti non raccolti… e, soprattutto, nell’assenza di volontà di farlo.

Roma: perché una delle città più grandi della Terra si è trasformata in una discarica a cielo aperto?

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La storia della gestione disfunzionale dei rifiuti a Roma è lunga di decenni e inizia con un “grande buco nero”.

È così che i romani chiamavano la discarica di Malagrotta, una volta la più grande d’Europa, e l’unico sito dedicato allo smaltimento dei rifiuti della città per circa trent’anni fino alla sua chiusura, avvenuta nel 2013.

Il proprietario della Malagrotta, Manlio Cerroni – un magnate dello smaltimenti dei rifiuti noto come “Il Supremo” – ha detenuto il monopolio della rimozione della spazzatura all’interno, e intorno, alla capitale italiana per anni, fino a quando le autorità europee hanno stabilito che l’enorme discarica non era adatta al trattamento dei rifiuti, causando la sua chiusura.

Da allora a Roma non è stato più presente un sito importante in cui scaricare, o trattare, le oltre 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti che produce ogni anno e nessuna vera strategia per il riciclaggio, poiché i successivi sindaci di diverse parti si sono anche dimostrati incapaci di risolvere l’emergenza dei rifiuti.

La raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti di Roma sono sempre stati nelle mani di un piccolo gruppo di interessi privati – che a volte, secondo i pubblici ministeri, collude anche con la criminalità organizzata.

E i romani pagano una delle tasse più elevate in Italia sui rifiuti urbani.

Gran parte della spazzatura presente a Roma, attualmente, viene spedita in altre regioni italiane o all’estero. Solo il 40% viene separato e riciclato.

La capitale esporta 1,2 milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno, per un costo complessivo di 180 milioni di euro. Per quanto riguarda il restante mezzo milione di tonnellate, sembra che non venga raccolto per settimane intere:

È una lunga storia che coinvolge diverse parti e non è migliorata negli ultimi anni” ha dichiarato Alessandro Lanza, professore di politica energetica e ambientale presso l’Università LUISS di Roma. “L’unica vera decisione è stata quella di chiudere Malagrotta, ma poi non è più seguito nulla.”

L’elezione di Virginia Raggi e l’incendio dell’impianto di Salario

Nel 2016 è stato eletto un nuovo sindaco dopo una campagna, molto accesa, in cui ha promesso di risolvere per sempre l’emergenza rifiuti a Roma: Virginia Raggi.

Un’avvocata trentenne, che vinse con il 67% dei voti, diventando anche la prima donna sindaco della storia romana.

Tuttavia, dopo due anni e mezzo (parecchio tempestosi) al potere, le promesse della Raggi sono rimaste lettera morta.

E migliaia di residenti oltraggiati, stanchi del degrado della Città Eterna e della sua fama di “Fogna a cielo aperto”, sono scesi in piazza ad ottobre 2018 per protestare.

L’11 dicembre 2018 un enorme incendio si sviluppò in uno dei rimanenti siti per lo smaltimento dei rifiuti, il cosiddetto impianto di Salario, che ricoprì di fumo tossico la densamente popolata parte nord-est della città e messo fuori uso la struttura che trattava un quarto della spazzatura di Roma.

L’incendio aggravò l’emergenza e costrinse la città, e le amministrazioni regionali, spesso in contrasto per motivi politici, a cercare strutture alternative.

Il disastro coincise anche con l’inizio delle festività natalizie e, di conseguenza, enormi quantità di carta regalo scartata colpirono le strade.

La spazzatura non raccolta si accumulò fin dalla Vigilia di Natale, tanto che alcuni residenti, disperati, la diedero alle fiamme in segno di protesta.

Scene di cassonetti straripanti e di sacchi straripanti di contenuti puzzolenti sono stati ripresi, e postati, dai romani e dai turisti scioccati sui social media.

Dopo l’incendio della centrale di Salario, il ministro italiano dell’Ambiente Sergio Costa creò una task force per affrontare la costante crisi dei rifiuti.

La polizia di Roma avviò un’indagine sulle cause dell’incendio. E Virginia Raggi, mentre continuava ad aumentare il caos della spazzatura, fece un appello alle autorità locali del Lazio e di altre regioni affinché dessero una mano e aprissero le loro discariche ai rifiuti di Roma come soluzione di emergenza.

Tuttavia, poco dopo il picco delle vacanze (e dell’emergenza rifiuti), il sindaco in un post di Facebook dichiarò che Roma non aveva bisogno di una nuova discarica o di nuovi inceneritori:

I romani non meritano questa soluzione, che finirebbe per spazzare di nuovo la polvere sotto il tappeto.”

Virginia Raggi e il piano incentrato su una strategia a “rifiuti zero”

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Virginia Raggi e il suo partito, il Movimento Cinque Stelle, sostengono un piano incentrato su quella che chiamano una strategia a “rifiuti zero”, basata sul compostaggio e sul riciclaggio dei materiali organici:

I dirigenti della città hanno dimostrato di essere completamente inadatti a progettare una strategia efficace in grado di affrontare il problema dei rifiuti a Roma” ha dichiarato Christian Raimo, uno scrittore che funge anche da amministratore locale in uno dei quartieri di Roma e che ha sostenuto anche le proteste contro l’inquinamento provocato dall’impianto di Salario. “L’unica cosa che i politici di Roma sono riusciti a fare è stata quella di affrettarsi e di affrontare le emergenze cicliche, ma non sono riusciti a creare nuove strutture in grado di trattare i rifiuti a Roma con nuove tecnologie di riciclaggio, come è già successo in altre città italiane.”

Da quando la discarica di Malagrotta ha chiuso i battenti a settembre 2013, molti altri siti sono stati proposti come rimpiazzi, ma nessuno di essi è diventato operativo.

Tutti hanno incontrato una forte opposizione da parte dei residenti e dei sindaci locali:

Per avere una vera strategia dei rifiuti, è necessario creare una cultura adeguata, e include, incontrare e parlare con le persone. I politici di Roma, specialmente negli ultimi anni, non si sono mai preoccupati di farlo.”

Raggi aveva un piano, a dir la verità. Il piano 2017-2021, che mirava ad espandere gradualmente la raccolta dei rifiuti porta a porta da alcuni quartieri in tutta la città, e stabiliva un obiettivo ambizioso di destinare il 70% dei rifiuti raccolti al riciclaggio entro il 2021.

Secondo i dati ufficiali, tuttavia, nel 2018 la raccolta differenziata è rimasta bloccata al 44%, raggiungendo a malapena l’obiettivo del 50%.

E l’obiettivo si è aggirato intorno a quella percentuale anche negli ultimi anni. Anche la resistenza al cambiamento da parte dei residenti, e non solo la cattiva gestione, per contro è da mettere sul banco degli imputati.

Anche AMA, la società di proprietà della città e incaricata di raccogliere i rifiuti a Roma, è in gravi difficoltà.

Ha un debito di 600 milioni di euro e alcuni dei suoi ex dirigenti sono stati indagati, insieme a dozzine di funzionari e mafiosi locali, in un’indagine sulla corruzione da parte dei pubblici ministeri di Roma.

E sono stati anche accusati di fare squadra per le offerte per gli appalti urbani.

Eppure il capo dell’AMA, Lorenzo Bacagnani, di recente ha promesso che Roma diventerà un “modello per l’Europa nella gestione dei rifiuti”.

AMA vuole costruire tredici nuove strutture, di cui tre specializzate nel riciclaggio dei rifiuti organici. Il nuovo sistema dovrebbe essere in grado di elaborare 880mila tonnellate di rifiuti riciclabili ogni anno, o almeno questo è il piano.

Ciò potrebbe fare molto per risolvere il problema della spazzatura a Roma.

Gli esperti ambientali, tuttavia, avvertono che la costruzione di questi tredici impianti sarà possibile solo una volta che si sarà superata la resistenza dei residenti locali e richiederà anche anni di lavori.

Il Nord Italia, ha dichiarato Lanza, il professore di politica ambientale, si è dimostrato molto lungimirante nella gestione dei rifiuti e adesso sta iniziando a produrre energia bruciando la sua spazzatura, mentre Roma, al contrario, sembra che non sappia ancora cosa farsene dei suoi rifiuti.

I piani per la gestione dei rifiuti di Roma, ha aggiunto, sono apparentemente buoni sulla carta, ma i tempi di attuazione e gli investimenti sono molto vaghi.

In alternativa, quindi, a Roma non resta che continuare ad esportare la maggior parte dei suoi rifiuti, anche se ciò continuerà a comportare costi molto elevati. E intanto la spazzatura per le strade della Città Eterna continua a rimanere al suo posto.