La grave crisi energetica che sta colpendo il Venezuela non lascia spazio ad alternative: bisogna risparmiare per far fronte alla grande problematica che si deve affrontare. Ed ecco che la soluzione pare una sola: spostare di trenta minuti indietro le lancette degli orologi, quel tanto che basta per cercare di “tamponare” l’emorragia che sta affliggendo il paese.

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L’ironia della sorte – in una maniera a dir poco beffarda – ha fatto sì che si ritrattasse sul provvedimento adottato dieci anni fa da Hugo Chavez.

Infatti, l’allora presidente, fece spostare tutti gli orologi avanti di mezz’ora affinché si potesse lavorare di più, affinché i venezuelani occupassero quei minuti nella produttività e nella crescita economica del paese. E così il presidente attuale, Nicolas Maduro, ritratta sulla presa di posizione del suo predecessore e sembra voler piegare il tempo davanti alla crisi.

Attualmente, il Venezuela è quattro ore e mezzo indietro rispetto a Greenwich. Dapprima c’è stata la decisione di chiudere tutti i venerdì – ad aprile e a maggio- uffici e aziende pubbliche, ora la nuova misura in vigore dal primo maggio prossimo per risparmiare sull’elettricità (così facendo si ha una riduzione del monte ore lavorativo da 40 ore a 36 ore al mese): «La misura, in programma dal primo maggio, ci aiuterà sul fronte del risparmio dell’elettricità». Queste sono state le parole pronunciate dal presidente stesso in occasione della conferenza stampa per l’annuncio del piano.

L’emergenza energetica in Venezuela

Ampie zone del Venezuela sono in uno stato di allerta energetico. La siccità sta consumando poco a poco la zona del Giuri, a sud dello Stato, in cui si trova la più importante centrale idroelettrica del Paese, la quale – da sola – soddisfa circa il 70% del fabbisogno di energia elettrica. Da mesi non piove e il bacino è prosciugato.

Se una centrale idroelettrica non riceve un adeguato apporto di acqua, anche i serbatoi d’emergenza vengono esauriti e, di conseguenza, non è più possibile far fronte alla domanda di energia elettrica da parte delle utenze, che queste siano private o aziende. Si blocca quindi la produttività e, in un certo senso, la vita, la quotidianità delle persone.

A questo si aggiungono l’innalzamento della temperatura, l’effetto serra e i cambiamenti climatici e, come sempre accade – sembra quasi inevitabile – a tutto questo si accompagna un ulteriore crollo del greggio.

La crisi, il crollo del prezzo del petrolio, l’incapacità a gestire un paese che naviga nel greggio ma non è in grado di raffinarlo e distribuirlo, hanno finito per svuotare le casse dello Stato e a sospendere i lavori. La situazione è a tal punto emergenziale che il presidente dello stato del Sudamerica si è visto costretto a chiedere alla popolazione di ridurre l’uso degli elettrodomestici casalinghi ma anche ai centri commerciali di generare corrente elettrica autonomamente per quattro ore al giorno, onde evitare black out.

Infatti, si sono già verificato 8250 black out nei primi tre mesi di quest’anno, così come registrato dal Comitato dei Colpiti dalle interruzioni di energia elettrica. Secondo il parere degli esperti, di questo passo la grande centrale idroelettrica di Giuri corre il rischio di collassare entro pochi mesi, causando così la recessione economica e sociale di tutto il Paese.

Questo rappresenterebbe un ulteriore problema, perché va a toccare anche l’acqua potabile. Il Venezuela assorbe 25 mila megawatt ma i suoi impianti idroelettrici sono in grado di produrne solo 24 mila.

<<Ci dobbiamo adattare in termini rivoluzionari>> sono state le parole del mandatario in un discorso in tv, <<affinché il cambio climatico colpisca il meno possibile la  qualità della nostra vita e la felicità del nostro popolo. Stiamo affrontando una siccità che è una vera tragedia ambientale>>.

E la crisi energetica sta portando ad una crisi politica, ad una grossa sfiducia da parte della popolazione nei confronti delle istituzioni. Infatti, il settore industriale si è più volte lamentato con l’Esecutivo accusandolo di NON avere adottato gli interventi sull’intera rete di distribuzione e di essersi affrettato solo verso soluzioni temporanee che non producono risultati tangibili.

Un problema solo del Venezuela?

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Eppure il mondo sembra in parte sordo dinnanzi alla devastazione che lui stesso sta causando. Sembra che nulla lo tocchi e che solo il denaro sia la vita della società. Ma sono le stesse società che, in diverse parti dei vari continenti, stanno gridando una supplica: smettere di sfruttare ogni risorsa naturale, smettere di inquinare e correre ai ripari.

Appare più che mai evidente che ci debba essere una riforma nella politica energetica di tutti gli stati. L’arrivismo, il consumismo, le continue devastazioni adoperate nei confronti della natura, oggi ci mostrano che ci stiamo distruggendo. Non esiste più un confine netto tra le stagioni, i cambiamenti climatici attanagliano e distruggono le città provocando carestie e crolli economici.

Il benessere conquistato dai nostri padri è ancora così fondante? Siamo ancora così fieri della nostra ricchezza? Forse la forza devastatrice della natura si dovrebbe arrestare dinnanzi ai nostri imperi economici, che si sgretolano come castelli di carte?